giovedì 30 settembre 2010

RADIO CLASH

Sembra incredibile ma i Clash suonarono a Firenze, la mia città, ed io ero lì, (con la spilletta qui raffigurata) il 23 Maggio 1981; non è che mi ricordi molto, ero molto lontano dal palco, in Curva ferrovia, intorno fumavano di tutto. Comunque una buona documentazione di quell’ evento si trova qui
I Clash sono stati un punto di riferimento, una bandiera, sia per i contenuti che per la musica. Dal punti di vista “politico”, a parte qualche ingenuità dovuta ad un idealismo spinto all’ eccesso, il loro essere “rivoluzionari” ha dato voce alle speranze di cambiamento di molti. Dal punto di vista musicale, sono stati protagonisti di un’ evoluzione straordinaria soprattutto nella libertà con cui hanno evoluto il loro suono, contaminando rapidamente le radici punk con un sacco di altra roba di varia provenienza; e in fondo anche questa capacità di superare le barriere è stato un atteggiamento politico.
Il primo album è del 1977 ed è caratterizzato da un suono ruvido e diretto, di cui White Riot è l’ esempio migliore, ma già il singolo successivo (White Man) in Hammersmith Palais fa presagire l’ aprirsi di orizzonti più ampi.
Il secondo album “Give ‘em Enough Rope” è considerato da molti un mezzo passo falso, ma l’ 1-2 iniziale (Safe European Home / Tommy Gun) è micidiale ! In particolare Safe European Home è potenza pura, con batteria e chitarra che duellano esplosive, le voci di Joe Strummer e Mick Jones che si intrecciano, e quella trovata finale…
Su “London Calling” sono un po’ eretico se dico che non lo ritengo il loro capolavoro. Ho l’ impressione che il gruppo, pronto al salto di qualità e ad un allagamento del proprio pubblico, viaggi un po’ “col freno tirato”. Comunque ci sono grandi classici come Guns of Brixton, Rudie Can’t Fail, Lost in the Supermarket, Revolution Rock.

“Sandinista !” (1980) è creatività alo stato puro, i Clash al loro massimo prima dell’ inizio del declino. Intanto, uscì come triplo LP, 36 brani, e già questa era un’ eresia. Dentro, di tutto: le reminescenze punk di Somebody Got Murdered e Police on my Back; il pop obliquo e minaccioso di Charlie don’t Surf, The Call Up, Rebel Waltz; i cori dei bambini in Hitsville UK; il funky-rap di Magnificent Seven e Lighting Strikes; perfino il folk irlandese di Lose This Skin; ma soprattutto, quintali di reggae e dub. In questo disco infatti la  passione per la musica giamaicana di Strummer e soci, che già aveva fruttato una magnifica versione di Armagideon Time, si manifesta in modo definitivo in un risultato ibrido non dissimile da quello raggiunto da altri gruppi inglesi in quegli anni (i Police di Reggatta de Blanc, gli UB40 di Signing Off, i Ruts DC) ma unico e geniale. Così, in “Sandinista !”, 2 dei brani migliori, One More Time e Junco Partner, hanno la loro controparte dub, e i ritmi si dilatano tra echi ed effetti anche in The Crooked Beat e The Equaliser.
Naturalmente non sfugge che il rimescolamento musicale, in particolare quello tra la derivazione punk “bianca” e le radici funk e reggae “nere” sono anche un simbolo di rottura di convenzionali confini sociali ed etnici. Dunque ancora i Clash riescono a trovare l’ espressione musicale perfettamente rappresentativa delle loro posizioni politiche in senso lato.

Quello che segue è, purtroppo, ben poca cosa. La magia finisce, i nostri hanno il tempo di imbroccare un paio di quasi-hit, Rock in the Casbah e Should I Stay Should I Go, brani piuttosto insulsi che per i più distratti sono le sole canzoni identificative di questa band.
Però… non è finita proprio lì. Paul Simonon e Mick Jones sono ricomparsi in qualche progetto discreto, ma è Joe Strummer che ci ha regalato qualche altra sorpresa prima di andarsene, troppo, troppo presto.
clash by Marco Petilli on Grooveshark